People
18/01/2022 - Tieffe
Quando parliamo, respiriamo o tossiamo emettiamo gocce di saliva di dimensioni diverse. Gocce che hanno comportamenti differenti a seconda delle loro dimensioni. I droplets, goccioline di saliva emesse quando si parla, sono più pesanti e dunque precipitano a terra per forza di gravità, in genere entro i due metri: se ci si trova in un ambiente chiuso e se c’è il distanziamento è difficile contagiare o essere contagiati. Diverso è per le goccioline più piccole, il cosiddetto aerosol, che possono contenere anch’esse il virus: galleggiando nell’aria, restano in sospensione e si diffondono con molta più facilità. Come scaturito da diversi studi scientifici, e come ha ammesso anche l’Organizzazione mondiale della Sanità, la modalità di contagio dominante del Covid 19 è stato proprio l’aerosol. L’errore commesso in passato è stato concentrarsi sui droplets e non considerare sufficientemente il fatto che il virus potesse viaggiare anche in goccioline molto più piccole. L’aerosol, infatti, satura gli ambienti; al riguardo faccio sempre l’esempio di una stanza in cui si trova un fumatore: il fumo si diffonde nell’ambiente e anche chi non compie materialmente l’atto lo inala.
Un primo intervento necessario è la mitigazione della sorgente: non si è sufficientemente considerato, ad esempio, che parlare ad alta voce potesse coadiuvare il contagio. Più aumenta il tono della voce più le goccioline di aerosol si diffondono, sino ad arrivare a decuplicare la loro propagazione. Quindi in scuole, università, sale congressi, una prima azione necessaria è quella di dotare i relatori di microfono. Sicuramente aerare i locali funziona, ma per avere una purificazione efficace occorre affidarsi alla ventilazione meccanica controllata. Si tratta di sistemi costosi, la cui efficacia, però, è scientificamente provata.
Se facciamo riferimento alla possibilità di trasmissione di virus sì. Ma non esiste una risposta assoluta per mettere realmente in sicurezza un ambiente, occorre fare una valutazione dei rischi e degli interventi. Tornando ad un esempio pratico i purificatori a filtri Hepa, nati per bloccare le particelle inquinanti presenti nell'area da trattare, possono essere una buona barriera per i virus ma non per i batteri, che rimanendo nel filtro proliferano. Al contrario il virus resta intrappolato e muore. Altri sistemi, invece, vanno valutati in base alla portata dell’aria. Infine, alcuni apparati possono risultare efficaci, ma devono essere ancora certificati.
Occorrerà rendere la matrice aria sicura, così come in passato è stato fatto per l’acqua. Duecento anni fa il colera si diffondeva proprio attraverso l’acqua. Allora è stata messa in sicurezza l’acqua e oggi va fatta la stessa operazione con l’aria che deve essere esente da inquinanti e agenti patogeni. Esistono diversi modi e si dovrà individuare quello più efficace, che garantisca un buon rapporto costi-benefici. Attualmente si dispone del know-how, va, però, sviluppata la parte applicativa. Tornando alla gestione della pandemia, credo che in futuro l’analisi medica andrà affiancata da un approccio ingegneristico del problema, per creare deduzioni che tengano conto dei diversi aspetti del problema.
Io ho una mia personale visione che parte da un concetto di ventilazione locale o personale. Mettere in sicurezza un ambiente, nella sua totalità, non solo ha costi elevati, ma può non essere sempre risolutivo. A mio parere va gestita l’aria in prossimità delle persone che popolano un ambiente. Faccio un esempio: in una sala di un ristorante non si deve sanificare l’intero locale, ma le aree vicine ai tavoli. È un po’ come scaldare una stanza nella sua interezza o mettere una stufetta accanto alla sedia di ogni persona che si trova nell’ambiente. Credo, comunque, che in futuro sarà essenziale “progettare l’aria”. Noi stiamo affrontando la sfida e lavorando affinché anche la salubrità dell’aria possa essere un diritto acquisito.
- Tieffe
Diversità umana come stimolo e come tratto imprescindibile di un progetto
Gaia Miacola, la progettista di sogni
- TF
Lo.Re, tre generazioni “al servizio” dell’idrotermosanitario