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Design for All, Inclusive Design, Universal Design
Approcci progettuali a confronto
Nell’evoluzione costante del Design e dell’innovazione, emerge sempre più la necessità di porre al centro della progettazione l’obiettivo dell’inclusione. “Inclusione” è una parola che porta con sé numerosi significati e ambiti, in quello progettuale rappresenta l’ambizione di vivere in una società in cui ogni individuo, indipendentemente dalle sue abilità, disabilità, età, genere o background culturale, ha accesso agli stessi servizi; porre l’inclusione al centro del processo di progettazione è ancor più urgente in ragione dal progressivo invecchiamento della popolazione: l’aumento della longevità è un segno di progresso, ma presenta nuove sfide per trovare le risposte più pertinenti alle esigenze di una popolazione anziana che convive con almeno cinque generazioni. Questo rende per il Design un imperativo etico, tecnico e pratico.
In tale contesto, emergono tre discipline significative che hanno affrontato la progettazione attraverso riflessioni in decenni di storia: Design for All, Inclusive Design e Universal Design.
Ognuna affronta il tema con modalità da diverse angolazioni, ma con un obiettivo comune: migliorare la vita degli individui, l’autonomia e, più in generale, il benessere e il comfort attraverso la progettazione. Seppur con un obiettivo comune, ognuna ha le sue caratteristiche distintive, in termini di processo, strategie e benefici. Le tre discipline promuovono una cultura di accettazione, rispetto e considerazione; questo conduce a una maggiore coesione sociale, a una riduzione delle disparità e a una maggiore partecipazione attiva di tutti i membri della comunità.
Schema concettuale che illustra la procedura definita dall’Inclusive design
Dalla dichiarazione di Stoccolma del 2004, il
Design for All
è il design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza. Le principali premesse sono l’approccio olistico1 e la sfida creativa: la prima evidenzia la necessità di organizzare gruppi di lavoro con le competenze e le professionalità necessarie per affrontare il progetto nella sua totalità e complessità; la seconda l’energia e la determinazione che spinge a esplorare nuove idee per superare gli ostacoli trovando soluzioni alternative e innovative. La sfida creativa ed etica è rivolta non solo ai progettisti, ma anche agli imprenditori, agli amministratori e ai dirigenti politici a cui è chiesto di considerare costantemente l’inclusione come parte integrante della loro visione proprio perché sono fondamentali decisori del processo progettuale in opera.
Il coinvolgimento attivo e creativo degli utenti finali, degli stakeholder (debitamente selezionati) e degli experiencer (diretti e indiretti) è il pilastro del Design for All, che ha consolidato da vent’anni la centralità di processi partecipativi. Gli individui eterogenei per cui sono destinate le soluzioni – che siano prodotti, servizi o ambienti – devono essere coinvolti fin dalle prime fasi del processo di progettazione perché portano una prospettiva unica e preziosa sulla loro esperienza e sulle eventuali difficoltà che affrontano. Il team di lavoro collabora con loro per comprendere i loro bisogni, preferenze ed esigenze specifiche, e trasformando le informazioni in requisiti di progetto che daranno vita alle soluzioni opportune anch’esse validate dalle persone coinvolte.
Il Design for All rappresenta una sfida che richiede tempo, impegno e talvolta costi aggiuntivi rispetto a un approccio tradizionale, ma riduce notevolmente la possibilità di errori (e quindi a sua volta eliminando i costi di rettifica) proprio per la continua verifica “bottom-up”. Inoltre assicura che le soluzioni siano mirate alla gradevolezza e non discriminanti, ovvero senza enfatizzare le differenze o le esigenze specifiche, come ad esempio quelle delle persone con disabilità.
L’Inclusive Design è una filosofia di progettazione molto simile al Design for All, infatti si pone come obiettivo la partecipazione in modo equo, sicuro e indipendente nelle attività quotidiane considerando la diversità umana. Per raggiungere questi obiettivi adotta una serie di principi chiave (esplicitati dal Design Council) che pongono, come il Design for All, le persone al centro del processo di progettazione promuovendo il benessere personale, la coesione sociale e il piacere per tutti. Sottolinea la necessità di non focalizzarsi unicamente alle limitazioni motorie, ma di estendere il proprio raggio d’azione anche alle difficoltà di apprendimento, ai problemi di salute mentale, alle disabilità visive e uditive.
Schema concettuale che illustra la procedura definita dal Design for All. Le frecce indicano il coinvolgimento di utenti finali e stakeholder
L’
Inclusive Design
riconosce apertamente che non sempre è possibile risolvere tutte le esigenze con una singola soluzione, e propone di rendere nota la parte di popolazione che potrebbe essere esclusa – le cause possono essere dovute a questioni tecniche, tecnologiche o, talvolta, economiche. Esorta a proporre alternative che tengano conto della diversità delle esigenze degli utenti, garantendo la possibilità di scelta, come collezioni di prodotti, soluzioni complementari, add-ons o altro.
Di particolare rilievo, riconosce la diversità delle esigenze in continuo mutamento e propone che le soluzioni siano predisposte alla flessibilità nel tempo, garantendo che l’accesso e l’usabilità siano continuamente ottimali.
Schema che sintetizza gli scopi dell’universal design
L’
Universal Design
è un approccio molto diffuso negli Stati Uniti, in Australia e non solo, che si basa su 9 principi chiave, rendendo il processo di progettazione inclusiva apparentemente di semplice applicazione: equità nell’uso, flessibilità nell’uso, semplicità e intuitività, informazioni per tutti, tolleranza all’errore, riduzione dell’Impegno fisico, dimensioni e spazio adeguati, compatibilità con il futuro, e bassi costi d’uso. Seppur la lista (o manifesto) sia ampiamente condivisibile, apprezzabile, e nonostante non sia concordato un particolare processo o metodo, questi principi subiscono continue integrazioni e precisazioni. La complessità del progetto contemporaneo e delle sfide richiede un continuo adattamento, la disciplina riconosce (indirettamente) che la diversità delle esigenze è difficilmente riassumibile in pochi assunti.
In modo aperto o implicito, Design for All, Inclusive Design e Universal Design, tengono in considerazione l’impatto ambientale e il risparmio energetico – si affrontano sfide ambientali senza precedenti, e pertanto promuovono una progettazione sostenibile e responsabile per costruire una società più giusta, sostenibile e inclusiva per le generazioni presenti e future.
Universal Design
Quando si progetta un ambiente destinato ad accogliere un alto flusso di persone occorre sempre riflettere sull’inclusività degli spazi: aperto alla comunità, questo spazio sarà fruibile da chiunque, indipendentemente da età, genere, abitudini o eventuali difficoltà motorie. Un’area “universale”, dunque, dove le differenze prima menzionate devono necessariamente azzerarsi. Il criterio di Universal Design nasce con questo spirito, pensare ad ambienti privi di ostacoli, liberi e pienamente vivibili. Un concetto che affonda le sue radici sull’idea dell’abbattimento delle barriere architettoniche e sul concepimento di un design per tutti (design for all) ma che prosegue oltre, proponendosi di fornire un metodo di progettazione che sia valido per qualsiasi contesto e settore. Fondata da Ronald Mace, la “scuola” del design universale individua 7 criteri basilari su cui impostare la progettazione di uno spazio, che deve essere:
Equo
, utilizzabile cioè da chiunque
Flessibile
, in grado di adattarsi alle diversità tipiche di una comunità
Semplice
, capace di offrire servizi facilmente fruibili
Percettivo
, pensato per trasmettere le effettive informazioni sensoriali
Previdente
, ovverosia sicuro. Deve appunto eliminare ostacoli che ne limitino la vivibilità
Accessibile
, fruibile da tutti con il minimo sforzo.
Inclusivo, progettato pensando a dimensioni e spazi che siano effettivamente capaci di assicurare la giusta godibilità dell’ambiente.