L'Italia sta invecchiando sempre più: secondo la fotografia dell'Istat, "al primo gennaio 2019, gli over 65enni sono 13,8 milioni e rappresentano il 22,8% della popolazione totale. Rispetto al primo gennaio 2015 questa categoria della popolazione registra un incremento di 560mila unità e quella ancora più anziana ha raggiunto una cifra significativa: si contano circa 2,2 milioni di individui di età pari o superiore agli 85 anni, il 3,6% del totale. Il Belpaese, inoltre, detiene il record europeo, insieme alla Francia, del maggior numero di ultracentenari in vita, oltre 14mila in base alle stime".
L'Istat, recentemente, ha resi noti gli importi delle pensioni: "nel 2017 i pensionati percepivano, in media, un reddito lordo di 17.886 euro, le pensionate, in media, importi annui di quasi 6mila euro più bassi di quelli degli uomini. Ampie le differenze tra Nord e Sud: l'importo medio nel Nord-est era del 20,7% più alto di quello nel Mezzogiorno (18,2% nel 2016, 8,8% nel 1983, primo dato disponibile)".
Alla luce di queste evidenze sempre più persone, non solo in età avanzata, iniziano a ragionare sul futuro, tentando di comprendere quale possa essere la soluzione più appropriata, qualora non dovessero essere più in grado, sia economicamente sia fisicamente, di continuare a vivere isolati nella propria abitazione.
Oltre alle Residenze Sanitarie Assistite ed alle case di riposo esiste un'alternativa che inizia ad essere presa in considerazione anche nel nostro paese: il cohousing. Nonostante l'Italia risulti notevolmente in ritardo, rispetto ad altri Paesi, questa forma di convivenza, nata in Danimarca negli anni 60' e diffusa oggi nel Nord Europa, negli stati Uniti, in Canada, Australia e Giappone rappresenta una interessante soluzione per la convivenza di persone in età avanzata.
Già in un precedente articolo avevamo illustrato questo modello, in cui ogni residente oltre ad avere spazi propri in cui vivere, da solo o in coppia, condivide aree e servizi comuni. In questi insediamenti abitativi si è in contatto con coetanei e, allo stesso tempo, viene garantita assistenza, (ad esempio quella medico-infermieristica). Si creano in questo modo ambienti sicuri ed alla portata di tutti, in quanto si dividono pure le spese.
Nelle famiglie si ha sempre meno possibilità di garantire un'assistenza quotidiana agli anziani e le case di riposo o le R.S.A., così come le badanti, possono avere dei prezzi che non tutti riescono a sostenere.
Questa forma di convivenza ha anche una valenza dal punto di vista psicologico; molte persone arrivano alla vecchiaia ancora autonome e con una forte propensione alla socializzazione. Per questa categoria sociale vivere in maniera indipendente, seppur in un complesso residenziale, unisce i vantaggi dell'autonomia garantendo, grazie alla divisione di alcuni costi di gestione e servizi, risparmi sul proprio bilancio economico.
Tali strutture sono costruite con maggiore attenzione riguardo all'utenza che dovrà viverci e ciò rappresenta un ulteriore passo avanti rispetto al pur importante approccio di abbattimento delle barriere architettoniche nell'abitazione. In particolare, negli ambienti come il bagno, o la cucina, più a rischio sia per le mansioni che vi si svolgono, sia perché a volte sono più piccoli rispetto alle altre stanze, devono essere a misura di anziano, ossia dotati di ausili, di doccia al posto della vasca, lavandini alla giusta altezza ed arredi facili da aprire. Infine, la pratica del cohousing consente di ridurre notevolmente l'ospedalizzazione, in quanto gli anziani vengono seguiti e assistiti dove risiedono.
Unico problema lo si può trovare nei tempi di realizzazione di questi insediamenti abitativi, solitamente due anni, oltre che al numero di persone disposte a condividere un simile progetto di vita.
Considerando che, secondo alcune stime, nel 2030 vi saranno circa 2 miliardi di anziani nel mondo, forse è arrivato il tempo di riflettere anche a proposito di questo tema.