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07/12/2021 - Tieffe

Slow Food, due parole che parlano di cultura, territorio e buon cibo

Over incontra Federico Varazi, vicepresidente Slow Food Italia

Attività Slow Food Italia

Slow: molte cose possono “andare piano” ossia essere rispettose dei tempi dell’uomo e della natura. Tra queste sicuramente il cibo, inteso non solo come alimento, ma come economia, quindi produzione, trasformazione, distribuzione e commercializzazione. Da questo presupposto, nel 1989, è nata Slow Food, associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con gli ecosistemi. La sua mission non è solo di difendere gli alimenti, ma valorizzare la cultura gastronomica, riscoprire i saperi di cui sono custodi i territori per costruire un futuro che, nella sostenibilità e nella tradizione, garantisca il diritto universale al mangiare sano e di qualità.

Di alimentazione, valore delle produzioni locali, biodiversità, rispetto dei territori e artigianalità abbiamo parlato con Federico Varazi, Vicepresidente Slow Food Italia.


Slow, un concetto quasi estraneo alla società moderna; nemmeno la pandemia ha rallentato i tempi accelerati ai quali ci siamo abituati. A suo parere come si può tornare, come cantava Guccini ne “Il vecchio e il bambino”, a fare in modo che siano “i soli a segnare il ritmo dell'uomo e delle stagioni”?

Quello del cibo è uno snodo sempre più centrale nella società moderna. Attorno al cibo ruotano molte tematiche spesso contrastanti. Il piacere della tavola e della convivialità e il nostro stile di vita, la nostra salute e quella del pianeta. Il cibo è causa e vittima allo stesso tempo delle principali emergenze ambientali, con l’impatto dell’agricoltura industriale sui cambiamenti climatici, ad esempio, ma anche un elemento essenziale su cui agire per trovare soluzioni. La nostra Associazione da oltre trenta anni sta tentando di far convergere questi due elementi, il buon cibo e il vivere “slow”, ribadendo come un prodotto della terra possa essere allo stesso tempo buono e sano e identificare un territorio, le sue tradizioni, il suo sapere, la sua storia. Tornare a pensare l’uomo come parte dello scandire del tempo e della natura significa tornare ad affermare che il cibo che produce e del quale si nutre è parte integrante di questi concetti. La pandemia ci ha insegnato che occorre interpretare la realtà con una chiave di lettura nuova di cui la “lentezza” diviene parte fondamentale.

La vostra mission è quella di dare valore al cibo come “soluzione”, non come “merce”. Crede che le persone possano riabituarsi a consumare alimenti buoni e sani e condividere con voi questo obiettivo?

Slow Food parla di cibo in maniera tridimensionale. Il cibo non è solo piacere, è sapere e consapevolezza, educazione civica, rispetto dell’ambiente e tutela della biodiversità. Le comunità indigene in tutto il mondo sono le cellule in cui la filosofia slow si concretizza. Un patto cibo-territorio-ambiente in cui milioni di persone oggi si riconoscono e si sentono unite, protette. Cibo che diventa relazione e relazioni che cambiano il mondo. Quindi, tornando al senso della domanda, sicuramente si.

Voi promuovete la territorialità come ricchezza. Crede che, in un mercato globalizzato in cui spesso si acquista in base al prezzo, si possa tornare a privilegiare alimenti stagionali e locali?

Il prezzo è importante, dà valore al prodotto, ma non è l’unico elemento. Ci deve essere anche dell’altro. Una filiera di cui si conoscono i passaggi è una garanzia che salvaguarda anche gli alimenti e la qualità di chi produce. Un prodotto che si paga poco può essere sinonimo di lavoro sottopagato, scarsa qualità e mancanza di rispetto dell’ambiente in cui si produce. E chi fa questo tipo di acquisto si rende “complice” di questi meccanismi. Sta a noi diffondere ed affermare questo messaggio e fare in modo che l’acquisto consapevole sia alla base del mercato.

Si parla tanto di ecosostenibilità, biodiversità e riduzione degli sprechi. Come crede che questi concetti possano sposarsi con la necessità di contrastare la fame nel mondo?

Combattere lo spreco è un obiettivo essenziale per garantire l’accesso al cibo per tutti. 800 milioni di persone vivono nell’emergenza alimentare e 3 miliardi di esseri umani non riescono ad avere accesso ad una dieta sana. Dobbiamo contrastare in ogni modo questa cultura dello scarto trattando il cibo alla stregua di un bene essenziale come l’aria e l’acqua, non come prodotto “usa e getta”. Quasi il 30% del cibo prodotto ogni giorno (dati FAO) viene sprecato, che tradotto in termini di gas serra vuole dire l’8% delle emissioni totali (il quadruplo degli aerei!). Un tema, quindi, che non è solo etico, ma che ha un immenso valore sociale soprattutto per le generazioni future. Occorre trasferire ai nostri figli la consapevolezza che la buona alimentazione è salute per tutti, è benessere per tutti, è anche giustezza di quantità e privilegio di qualità.

L’Italia ha una cultura e una varietà alimentare che non ha pari al mondo. Come tutelare il “Made in” e far sì che in futuro non si perdano le tradizioni alimentari regionali, vera e propria ricchezza, soprattutto per le future generazioni?

Questa è una domanda che mi tocca molto da vicino. In essa è racchiuso il senso del lavoro fatto negli ultimi due anni, in Umbria, con l’Associazione regionale attraverso il progetto “Transameria” di cui mi sono fatto promotore con l’obiettivo di rendere il viaggio scoperta dei luoghi della nostra regione attraverso il cibo e la sua cultura gastronomica. Il mangiare bene che diventa accoglienza turistica, esperienza, identità, cultura e conoscenza. Un percorso che parte dal cibo per arrivare al cibo inteso come parte migliore di ogni luogo, che consente di conoscerlo e renderlo unico con la sua territorialità, le sue stagioni, i suoi ritmi, i suoi attori naturali (i produttori locali, i vignaioli, i ristoratori ecc..). Ed ecco allora che torniamo alla sua prima domanda chiudendo un cerchio che dà senso non solo a questa piacevole chiacchierata, perché solo attraverso la conoscenza ed il tramandare le tradizioni potremo tutelare il valore del nostro Paese, la sua storia e la sua infinita cultura. Ovviamente in maniera “slow”.

Convegno Slow Food Italia

Federico Varazi: Nasce ad Amelia, ma vive ad Orvieto, ormai da più di dieci anni, con la sua compagna Stefania, suo figlio Amos ed il suo cane Stella. Da sempre guarda il mondo con gli occhi e la curiosità di un geologo: dopo la laurea in geologia si è occupato e si occupa di divulgazione scientifica ed ha un costante bisogno di sapere per raccontare e per condividere il piacere della conoscenza. Quando ha iniziato a vivere ad Orvieto ha cominciato ad occuparsi di vino, in una delle città italiane più vocate, dove il nettare degli dèi parla di Etruschi e antichi vulcani. Poco dopo è entrato a far parte del Comitato Esecutivo Regionale di Slow Food Umbria dove si è occupato di comunicazione e più recentemente del progetto “Transameria”, primo esempio di turismo di comunità nella regione Umbria, sul modello dello Slow Food Travel. Oggi è Vicepresidente di Slow Food Italia e ne è molto orgoglioso. Viaggia spesso tra la sede storica di Bra e altri luoghi del bel Paese sapendo che, come lui stesso afferma,
“se della terra che calpestiamo ogni giorno rimangono ancora tanti segreti, allora, per assaporarli, conviene farlo attraverso le emozioni che solo un buon vino può dare”.


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