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07/06/2024 - Tieffe

“Soluzioni emergenti” per favorire il cambiamento inclusivo

Di design for all e architettura in sicurezza Over ha parlato con l’architetto e PhD Elisabetta Schiavone

Un ambiente inclusivo è un luogo facilitante, accogliente e sicuro, dove vivere ed espletare la propria esperienza e le proprie funzioni in autonomia.
Favorire il cambiamento è quello che hanno voluto fare Laura Cennini ed Elisabetta Schiavone quando hanno ideato “Soluzioni Emergenti”, una star up che unisce competenze complementari ed interdisciplinari e che opera nel campo dell’accessibilità, dell’inclusione e della sicurezza, per consentire alle persone di esprimere al meglio le potenzialità individuali.
Per approfondire i temi legati alla progettazione inclusiva e dell’Universal Design, Over ha scelto di incontrare una delle fondatrici di “Soluzioni Emergenti”, Elisabetta Schiavone, architetto e PhD.

Partiamo dalla realizzazione della vostra start up. Avete fatto questa scelta professionale perché avete trovato un vuoto nel panorama della progettazione italiana, per quel che concerne sicurezza inclusiva e progettazione ambientale inclusiva, o perché ritenete che oggi l’architettura, per essere al passo con i tempi, debba andare in questa direzione?


Direi entrambe le cose. In Soluzioni Emergenti abbiamo portato un bagaglio di oltre 20 anni di esperienza sui temi della progettazione inclusiva e della sicurezza inclusiva, oltre ad una rete di professioniste con diverse specializzazioni con le quali collaboriamo, competenze che ci aiutano a rispondere a bisogni sempre più specifici.
L’esigenza di costituire un centro di competenze su questi temi è nata proprio dall’osservazione del panorama italiano e dell’enorme vuoto in termini di sicurezza inclusiva: con l’accessibilità abbiamo imparato che portare le persone dentro gli edifici è necessario ma abbiamo ancora qualche difficoltà a farle uscire. Specialmente considerando l’autonomia di ciascuno anche in situazioni di emergenza.
Ma non può esserci altra direzione se non quella di considerare nel progetto e nella pianificazione dell’emergenza la variabilità umana, la molteplicità di esigenze diverse che caratterizzano le persone e la risposta progettuale che siamo tenuti a garantire.
La sicurezza è un diritto prima ancora che un requisito e anche le normative più recenti in materia di sicurezza parlano il linguaggio dell’inclusione, dal Codice di prevenzione incendi ai decreti del 2021 sulla gestione della sicurezza antincendio.
Ad ogni modo se avessimo letto più attentamente le norme del passato in materia di accessibilità ci saremmo accorti che parlavano anche di sicurezza. Ne è un esempio la definizione di accessibilità del DM 236/89: G) Per accessibilità si intende la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.



Sicurezza inclusiva: non crede che un ambiente inclusivo sia al contempo sicuro?


Lo è se le specifiche necessità degli occupanti sono state considerate anche nella valutazione dei rischi, ipotizzando scenari di emergenza in cui l’ambiente deve consentire la risposta autonoma di tutte le persone.
Un ambiente accessibile in condizioni ordinarie potrebbe non esserlo in emergenza. Pensiamo a quante persone utilizzano gli ascensori non potendo affrontare le scale: persone in carrozzina o con difficoltà di deambulazione o di equilibrio, che utilizzano o meno ausili, persone cardiopatiche, obese o con i passeggini. Tutte queste persone in caso di incendio o terremoto o alluvione rimarrebbero intrappolate in un edificio che in condizioni ordinarie è pienamente accessibile.
Un ambiente inclusivo anche sotto il profilo della sicurezza deve prevedere facilitatori come lo spazio calmo e dispositivi per l’evacuazione, un sistema di allarme percepibile anche dalle persone sorde, un sistema di orientamento e wayfinding capace di facilitare chiunque in una situazione di emergenza, oltre ad un piano di emergenza inclusivo.



Come si possono coniugare efficacemente accessibilità/inclusione e salute/sicurezza in un progetto?


Partendo dalla conoscenza delle persone, dei funzionamenti e dei comportamenti. Che è diverso dalla conoscenza delle norme. La normativa dispone requisiti, prestazioni e criteri, ma la risposta progettuale la formula il progettista con il suo bagaglio di conoscenze. La norma ci fornisce alcuni dati del problema non la soluzione. Il guaio è che troppo spesso nelle norme cerchiamo le soluzioni, i numeri, le dimensioni. Ed è proprio dove incontriamo delle misure che prestare maggiore attenzione, specie in tema di accessibilità e sicurezza. Il più delle volte quei numeri si riferiscono a dimensioni che stabiliscono dei limiti: dimensioni minime per il passaggio, per l’accostamento, per la raggiungibilità, la pendenza massima. Misure che erroneamente assimiliamo a standard e finiamo per configurare ambienti che sono a norma ma paradossalmente non sono accessibili né tantomeno inclusivi.
Quello che invece dobbiamo fare è considerare il funzionamento dei luoghi a partire dal funzionamento delle persone.



Secondo lei la normativa vigente in materia di abbattimento delle barriere architettoniche andrebbe rivista, rendendola espressione di un più ampio concetto di universal design?


Ci sono certamente alcuni aspetti delle norme che andrebbero aggiornati ma la realtà è che, se interpretassimo correttamente le norme vigenti, non avremmo bisogno di ulteriori criteri o vincoli.
Peraltro, oggi abbiamo a disposizione le norme UNI EN 17161:2019 “Progettazione per tutti - Requisiti di accessibilità per prodotti, beni e servizi progettati secondo l'approccio "Design for all" - Ampliamento della gamma di utenti” e UNI CEI EN 17210:2021 “Accessibilità e usabilità dell'ambiente costruito - Requisiti funzionali” che rappresentano un valido strumento per i progettisti.
Ad ogni modo il progetto deve spingersi oltre la norma per fornire risposte coerenti con le esigenze reali e le aspettative delle persone.



La formazione è un tema importante e centrale per l’affermazione di un design che non possa più prescindere dall’inclusività. Come andrebbero incrementati i corsi universitari, per consentire ai futuri architetti e designer di avere già un background importante quando si affacciano sul mondo del lavoro?


Uno degli slogan più ricorrenti nel panorama della progettazione inclusiva è “la persona al centro” ma spesso i modelli che mettiamo al centro della discussione e della formazione sono stereotipati, poco aderenti alla realtà e non in grado di rappresentare la variabilità umana. Siamo convinti che uno scivolo sia sinonimo di accessibilità ma non consideriamo quali e quanti aspetti del progetto sono in grado di influenzare la qualità della vita delle persone, l’autonomia, il benessere e la sicurezza.
Nella formazione dovremmo considerare la complessità dei funzionamenti di una popolazione che invecchia, le esigenze di persone con emicrania, il sintomo della fatica nelle patologie neurologiche. Esigenze invisibili che interessano la maggior parte della popolazione e necessitano di risposte concrete. Un utile strumento da introdurre nella formazione degli architetti è l’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute (OMS 2001 e versioni successive).
Nella formazione occorre poi sperimentare e confrontarsi, con la consapevolezza che “universale” è una promessa impossibile da mantenere.



Voi ribadite spesso che il vostro obiettivo è fornire soluzioni che favoriscano l’autonomia e l’inclusione in contesti ordinari di vita quotidiana e in scenari di emergenza, anche in caso di calamità. Quali sono i criteri per progettare, tenendo conto dell’emergenza?


Nella progettazione di un luogo o di un edificio i criteri sono diversi a seconda della tipologia costruttiva, destinazione d’uso, attività insediate, tipologia di occupanti. Progettare un edificio nuovo o intervenire sull’esistente pone di fronte a scelte diverse, nel caso di ristrutturazione o rifunzionalizzazione saranno scelte condizionate.
Ecco perché più che di criteri dovremmo parlare di approccio e di obiettivi che di volta in volta il progettista potrà perseguire definendo una precisa strategia, poiché la risposta all’emergenza non dipende unicamente da scelte costruttive e dispositivi ma anche dalla risposta organizzativa, dalla pianificazione dell’emergenza.
Ancora una volta sono le persone a fare la differenza ecco perché le nostre soluzioni non sono esclusivamente soluzioni progettuali, ma strategie delle quali l’ambiente fisico è una componente.
Il criterio generale è quello di considerare il funzionamento delle persone in situazioni di emergenza e definire i facilitatori per la mobilità, l’orientamento e la comunicazione.
L’ambiente dovrà inoltre facilitare i soccorritori negli scenari in cui vi sono persone che non possono completare in autonomia l’evacuazione, anche tramite ausili specifici.
Concetti che in Soluzioni Emergenti abbiamo sintetizzato nei sette principi del Manifesto della sicurezza inclusiva.



Sicurezza inclusiva e progettazione ambientale inclusiva sono concetti che a suo parere possono e debbono essere applicati anche agli ambienti privati?


Assolutamente si. La cronaca e le statistiche sugli incidenti domestici descrivono un ambiente domestico decisamente distante dal nido sicuro con il quale siamo soliti identificarlo. A differenza dei luoghi di lavoro, nella progettazione di edifici residenziali i vincoli normativi rispetto alla sicurezza sono minori, a meno di edifici di altezze antincendio superiori ai 24 metri che devono rispondere alla normativa d’ambito.
Ma si tratta per lo più di misure costruttive/impiantistiche che non intervengono sulle caratteristiche di arredi, sulla scelta e l’uso di elettrodomestici. A casa nostra la valutazione del rischio non la facciamo mai. Soprattutto non consideriamo gli scenari che potrebbero coinvolgere bambini, anziani e persone con disabilità che trascorrono mediamente un tempo maggiore in casa e dunque sono più a rischio in caso di incidenti e disastri, dal momento che l’ambiente non è progettato per rispondere alle specifiche necessità in emergenza.



Per quanto riguarda la progettazione degli ambienti bagno, a suo parere a che punto è in termini di inclusività e sicurezza?


Oggi nella progettazione dell’ambiente bagno abbiamo a disposizione una vasta gamma di sanitari, arredi e accessori che ci consentono di personalizzare questo spazio anche con soluzioni flessibili. Ma c’è un problema di fondo: accessibilità e sicurezza non sono prestazioni che si ottengono come risultato della sommatoria di una serie di arredi/elementi singolarmente rispondenti ai criteri di usabilità/sicurezza.
È la configurazione di sanitari, arredi e accessori che fa di una stanza da bagno un ambiente accessibile e sicuro. Ancora una volta, sono le scelte progettuali che fanno la differenza.
L’ambiente bagno è probabilmente il più complesso da definire e, al contempo, il più banalizzato, specie in relazione all’accessibilità, sempre in nome di una semplificazione ossessiva e della ricerca di universalità in un ambiente che è il più vicino di tutti al nostro corpo, alla nostra intimità, alle diversità. Un ambiente che non solo deve rispondere alle nostre necessità, ma deve aderire al nostro corpo. E in tutto questo non dobbiamo dimenticare che l’ambiente bagno è la stanza del benessere, quella in cui ci prendiamo cura di noi e che desideriamo simile ad una SPA… non certo ad un ospedale.



Ambienti di lavoro in cinque dimensioni…può illustrare ai nostri lettori questo concetto?


Nelle cinque dimensioni dell’ambiente di lavoro si sommano alle tre dimensioni dello spazio la quarta dimensione del tempo e la quinta rappresentata dalle relazioni. Per questo motivo non parliamo di luoghi di lavoro, ovvero di spazi nelle tre dimensioni, ma di ambienti, dove l’organizzazione, la pianificazione e la socializzazione concorrono alla realizzazione di organizzazioni inclusive.
In questi termini orientiamo la lettura dell’ambiente di lavoro nelle nostre consulenze, individuando esigenze e criticità alle quali risponderemo con gli opportuni facilitatori.
Anche per questo la formazione è sempre alla base dei nostri interventi, sia nelle aziende che per le pubbliche amministrazioni. La conoscenza è il primo strumento per un cambio di prospettiva che può attivare un vero e proprio processo di cambiamento nella direzione dell’inclusione.
Tutto il resto è inclusive washing, iniziative scintillanti da candidare a qualche premio blasonato ma che all’interno dell’organizzazione non comporteranno alcun miglioramento.



A suo parere nel prossimo futuro la progettazione sicura e inclusiva non sarà solo più un aspetto, ma un pilastro fondante della moderna architettura d’interni ed esterni?


Inclusione e sicurezza sono i cardini della progettazione per eccellenza. La progettazione non è un esercizio stilistico, è un processo che si attua per rispondere a specifiche esigenze. Abitative, lavorative, commerciali, culturali… ogni ambiente con le sue peculiarità deve essere progettato per le persone. In questi termini potremmo definire l’architetto un interprete chiamato a tradurre le esigenze delle persone in prestazioni dell’ambiente. Per farlo dobbiamo imparare un nuovo linguaggio universale, anche quando parliamo di sicurezza.

Fernanda Franzese
Elisabetta Schiavone
Elisabetta Schiavone: Architetto e Dottore di Ricerca in Cultura Tecnologica e Progettazione Ambientale, è socia fondatrice e Direttore Tecnico della startup Soluzioni Emergenti, società che affianca pubbliche amministrazioni e organizzazioni private tramite attività di consulenza e formazione sui temi della sicurezza inclusiva e progettazione inclusiva. Esperta nelle suddette tematiche, è docente nell’ambito di corsi e Master universitari, autrice di contributi divulgativi e scientifici e relatrice nell’ambito di convegni nazionali e internazionali che vedono i temi dell’accessibilità e della sicurezza declinati nei più diversi ambiti, dalla pianificazione urbana al turismo, dai luoghi di lavoro agli istituti e luoghi della cultura. Già componente dell’Osservatorio Nazionale sulla sicurezza e il soccorso alle persone con esigenze speciali del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, è attiva in seno ad Associazioni nazionali che hanno tra gli obiettivi primari la promozione dell’inclusione e dell’accessibilità, fra cui il C.E.R.P.A Italia Onlus (Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità).

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