Interior

01/12/2022 - Tieffe

L’architetto 3.0: come sta cambiando questa figura professionale, essenziale per la progettazione

Intervista a Marianna Di Russo neo-laureanda in architettura e collaboratore di diversi studi del Lazio

Universalità: è questa la tendenza verso la quale si sta orientando l’architettura del terzo millennio. In un’era globalizzata, le preferenze riguardo ai materiali, le tendenze di colore, le scelte progettuali tendono ad uniformarsi, per rispondere, con sempre più facilità, ad una società che sta andando verso un’identità collettiva. Architetti, tecnici e progettisti di tutto il mondo devono, inoltre, fare i conti con i cambiamenti climatici e con l’aumento delle temperature. Infine il fattore demografico: la società sta drammaticamente invecchiando. Si tratta, però, di un invecchiamento attivo che porta molti anziani a scegliere di continuare a vivere a casa propria, adattandola alle nuove necessità e di viaggiare. I progetti, dunque, di abitazioni, hotel, strutture ricettive devono essere pensati per persone di ogni età e devono essere capaci di adeguarsi ai cambiamenti demografici, in una sorta di “long living design”.
La formazione di queste figure deve, necessariamente partire dal mondo accademico. Ma l’Università sta rispondendo a queste sfide e a questi cambiamenti? Come sta preparando gli architetti del futuro?

Lo abbiamo chiesto a Marianna Di Russo, neo-laureanda in architettura e già collaboratore di diversi studi progettuali del Lazio, che quindi ha ben chiari entrambi gli ambiti, quello formativo e quello lavorativo.

La prima domanda riguarda proprio l’università. A suo parere è pronta a formare gli architetti del terzo millennio?

Credo che il mondo dell’università sia capace di fornire ai suoi studenti, in particolar modo, al di là delle singole nozioni, la possibilità di acquisire un metodo di lavoro: per esperienza personale, ciò che questi anni di studio mi hanno trasmesso sono la capacità di collaborare in team, l’imparare a lavorare con razionalità anche sotto pressione, il comprendere come bilanciare le esigenze estetiche della composizione architettonica alle più pratiche necessità del fruitore. È interessante vedere, inoltre, come il mondo accademico, notoriamente, mi si passi il termine, “impolverato”, accolga le istanze più care alla mia generazione, come sostenibilità e inclusività, che vengono applicate senza timore al progetto di architettura, contribuendo a plasmare la sensibilità delle future generazioni di progettisti.

Secondo la sua esperienza come è cambiata l’architettura e lo studio della stessa?

Senza dubbio le nuove tecnologie hanno apportato in questo settore una vera e propria rivoluzione. Indubbiamente la possibilità di accedere, in pochi istanti, a immagini e contenuti attraverso la rete Internet, di disegnare rapidamente grazie all’uso del CAD, di realizzare render per una visione tridimensionale del progetto, ha fatto sì che si perdesse quell’approccio più “analogico” e ragionato allo studio dell’architettura. Si è, per forza di cose, persa l’abitudine di realizzare, ad esempio, schizzi a mano, o di avere prodezza con l’uso di squadra e riga, poiché oggi si tende a premiare la rapidità con cui un lavoro viene portato a compimento e questo aspetto porta con sé pro e contro.

Si sente pronta, dopo anni di studio, ad affrontare la professione?

Assolutamente sì. Nonostante abbia la piena consapevolezza di quanto le mie competenze in questo momento siano, per forza di cose, limitate, ho molta voglia di mettere in pratica quanto appreso durante i miei anni di studio e acquisire quante più conoscenze possibili.

Cosa andrebbe implementato, nel suo corso di laurea, per consentire ai neolaureati di essere appetibili per il mondo del lavoro?

Devo dire che purtroppo il divario tra il mondo universitario e quello lavorativo è ancora molto ampio, sotto diversi punti di vista. Sicuramente sarebbe utile fornire la possibilità agli studenti di vivere più da vicino, e con maggiore frequenza, le esperienze sul campo, affiancando un professionista, non solo per la durata del tirocinio curriculare, per acquisire delle abilità importanti e capire quali meccanismi entrino in gioco nel lavoro. Sapere, ad esempio, come interfacciarsi con i propri clienti e con gli artigiani con cui si lavora, imparare a prendere decisioni rapidamente se intercorrono delle problematiche impreviste, capire come rapportarsi con tutte le personalità con cui l’architetto collabora: sono competenze che, purtroppo, si è costretti ad apprendere solo una volta entrati nel mondo del lavoro, e magari solo dopo aver commesso qualche errore.

Come l’Università potrebbe contribuire a creare un collegamento efficace tra sfera accademica e professione?

Ribadisco che, dal mio punto di vista, consentire agli studenti di fare più esperienza, in ambito lavorativo, è un ottimo modo per iniziare a ridurre le distanze tra questi due mondi. Implementerei, ad esempio, le ore di tirocinio curriculare da svolgere prima della conclusione del percorso di studi. Allo stesso modo darei la possibilità di entrare maggiormente in contatto con le aziende che si occupano di tutto ciò che concerne il mondo dell’edilizia, soprattutto se si desidera, nel percorso post-universitario, di intraprendere, a tutti gli effetti, la professione di architetto. Questo è un mestiere molto più “pratico” di quanto i non addetti ai lavori possano pensare, e credo sia molto formativo, oltre che interessante, cominciare, il prima possibile, ad entrare in contatto con tutto quell’universo che gravita intorno alla figura dell’architetto e che è in grado, grazie a formazione ed esperienze lavorative diverse, di aiutare il progettista a realizzare un’opera che sia funzionalmente riuscita.

Lei si sente pronta ad operare nell’universal design?

Certamente. Come ho già detto, i temi dell’accessibilità, dell’inclusività, della sostenibilità ambientale, sociale ed economica sono dati per scontati oggi, fortunatamente, specie dalle nuove leve di architetti. Non si può più pensare, infatti, di realizzare progetti architettonici che non siano in grado di garantire a tutti le stesse opportunità di fruizione. Devo aggiungere che, in merito a questo aspetto, ho avuto la fortuna di incontrare, nei miei anni di studio, insegnanti particolarmente attenti a queste tematiche, che hanno fornito a noi studenti gli strumenti per interpretare le relazioni che intercorrono tra la società, l’urgenza di realizzare architetture che siano universalmente godibili e le forme dello spazio abitato, al fine di costruire una consapevolezza critica utile ai futuri progettisti.

Si parla molto di inclusività ma molti edifici, tra cui quelli accademici, spesso presentano barriere architettoniche. Quali sono gli interventi più urgenti, a suo parere, non più procrastinabili?

Su questo aspetto la strada da fare è ancora molta, sia per quanto riguarda i singoli immobili sia per quello che concerne l’ambiente urbano e gli spazi cittadini. Purtroppo, e mi dispiace molto dirlo, le nostre città e i nostri edifici non sono né pensati né ancora adattati a persone con disabilità e mobilità limitata. Mi sento quindi di dire che bisognerebbe proprio ripartire dalle basi, predisponendo in ogni occasione alternative all’uso di scale e gradini, garantendo sempre il funzionamento di ascensori e scale mobili, e iniziando a lavorare maggiormente sulla sensibilità dei progettisti e della società civile.

Se lei dovesse progettare un bagno, oggi, come lo renderebbe funzionale ed inclusivo?

Per quanto riguarda funzionalità e inclusività, le normative di riferimento consentono di tener conto di prescrizioni e misure minime da considerare per non commettere errori di progettazione, garantire spazi di manovra adeguati all’utente e un utilizzo senza impedimenti dell’ambiente costruito. Poi, dato che anche l’occhio vuole la sua parte si rende necessario ideare soluzioni innovative di design, che aiutino il progettista a trovare un equilibrio tra le necessità del fruitore e un’estetica gradevole.

Lo studio, diceva Albert Einstein, è “una sfera di attività nella quale è consentito di rimanere bambini per tutta la vita”. Si sente pronta all’età adulta?

Indubbiamente la vita da studente consente, di solito, di godere di una situazione di confort e di un quantitativo di responsabilità estremamente ridotto: aspetti che, sicuramente, in futuro rimpiangerò molto. Ma devo dire che, dopo molti anni di studio, se si somma alla carriera universitaria anche quella scolastica, è forte la voglia di mettere le mani “in pasta”. Quindi sì, per quanto in parte timorosa, sono entusiasta e molto curiosa di sapere quello che il futuro ha in serbo per me.

Marianna Di Russo progettista di ambienti inclusivi

Biografia: Cresciuta a Bolsena, in provincia di Viterbo, Marianna consegue il diploma scientifico con il massimo dei voti, dopo aver vissuto esperienze scolastiche che le hanno consentito di partecipare con entusiasmo a progetti di scambio culturale in diversi Paesi europei e di acquisire esperienza pluriennale di Debate. Da sempre affascinata da tutto ciò che concerne l'universo artistico e creativo, si iscrive nel 2016 alla Scuola di Architettura dell'Università degli Studi di Firenze. Ad oggi laureanda e prossima alla conclusione del suo percorso di studi, ha già alle spalle esperienze lavorative grazie a collaborazioni nate con studi professionali in Toscana e nel Lazio.


Articoli recenti della stessa rubrica