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17/07/2024 - Tieffe
Innanzi tutto vorrei fare una premessa: ho sempre ritenuto l’accessibilità centrale nella progettazione di edifici e spazi pubblici. Mi sentirei un ipocrita se fossi diventato sensibile al tema, solo dopo aver subito il trauma.Per il 1999 la tesi sull’accessibilità domestica era sicuramente un tema abbastanza innovativo. Lo dimostra anche il fatto che abbiamo vinto con lo studio e con un collega, un concorso di idee relativo ad una cucina accessibile. Cucina che è stata realizzata dalla Scavolini, tutt’ora prodotta con il nome di Utility system, che ne ha donate diverse all’unità spinale di Niguarda a Milano, dove abbiamo avuto la possibilità anche di ambientarle negli spazi a loro destinati. Proprio in quegli spazi ho fatto la mia riabilitazione post incidente. Ovviamente questo non mi ha impedito di riprendere a lavorare, sciare, fare immersioni, girare in quad e soprattutto di fare il padre.
Il titolare della Biohaus, ditta specializzata nella costruzione di edifici di lusso, in prefabbricati di legno, secondo i principi di bioarchitettura e bioedilizia, era da tempo intenzionato a dare un’impronta più sociale alla sua azienda, non per un aumento in termini di fatturato, ma di benessere, di qualità della vita. Avendo già collaborato con loro, ha deciso di coinvolgermi in questa avventura, unitamente ad un tavolo tecnico.Sappiamo bene che una casa, spesso invecchia con noi e quindi deve o dovrebbe presentare delle caratteristiche tali da poterci seguire, se non in tutto, ma almeno in parte durante il percorso della nostra vita. Percorso che potrebbe prevedere delle situazioni di disabilità temporanea, fratture, distorsioni o semplicemente una donna col pancione durante la gravidanza, che richiedono degli accorgimenti particolari e, situazioni di disabilità a carattere permanente, una tra tutte, a cui i più fortunati non fuggono, la vecchiaia. Arriva il momento in cui scale, dislivelli, pavimentazioni non complanari, altezze eccessive maniglie, serramenti etc., creano dei disagi e degli impedimenti. Basta un semplice zerbino a setole alte per causare un inciampo dalle conseguenze anche gravi. O il lavello posto sull’isola ed il fornello sul piano opposto, per comprendere come sollevare una pentola di acqua bollente di qualche chilo, dal piano cottura e portarla al lavello per scolarla, possa essere un’operazione faticosa e pericolosa, per una persona anziana, per una donna incinta o semplicemente per una persona che si è slogata un polso.Questo ci ha portati, dopo varie sperimentazioni, a realizzare un’app che potesse, attraverso immagini e quesiti in successione, misurare il grado di accessibilità della casa. Non solo, fornire degli accorgimenti e delle soluzioni pratiche. Ogni spazio domestico viene scandagliato meticolosamente ed attraverso delle domande in sequenza, l’utente può rendersi conto della varietà di “barriere” che possono esserci e come riuscire ad oabbatterle.La sfida è stata quella di creare un’app user friendly, ma dai contenuti tecnici utili anche al progettista, in grado di consentire di verificare il progetto, prima della sua realizzazione.Un’app sull’accessibilità che fosse, ovviamente, accessibile anch’essa.
Poter rendere l’architettura universale è una utopia, ma sforzarci per far si che vengano coinvolte la maggior parte delle diversità, è un traguardo raggiungibile.Viviamo in un’epoca in cui, quando realizziamo un progetto ex novo, possiamo realizzarlo “non accessibile”, basta affiancare al progetto una tavola detta dell’adattabilità, dove si dimostra che con delle soluzioni non invasive (spostamento di un tramezzo, spostamento dei sanitari, allargamento del bagno etc etc), un domani si rendesse necessario, possiamo modificarla. Capisco che nelle ristrutturazioni possano esserci dei vincoli strutturali che non permettono la totale accessibilità, ma sul nuovo è impensabile non raggiungerla da subito.Un’accessibilità che coinvolga appunto la diversità umana e che permetta di non trovarsi in difficoltà durante una possibile disabilità temporanea o permanente. Non serve molto, ma sono proprio i piccoli accorgimenti che fanno la grande differenza.
Già, Progettazione Universale, Designfor all… parole ormai di moda ed inflazionate. Ma l’architettura ed il design, non dovrebbero essere, per definizione, universali? Non dovrebbero venire incontro alla stragrande maggioranza degli utenti? Tra questi utenti c’è una grande percentuale che può risultare sempre soddisfatta, se non si considerano le casistiche limite o particolari, che richiedono una progettazione ad hoc. La fortuna è che almeno adesso se ne parla e c’è una cultura anche nell’utenza, ma da mia esperienza in commissione edilizia, posso assicurare che c’è una piccolissima percentuale di progettisti che alle parole uniscono i fatti. Accesso alla casa attraverso gradini; spazi funzionali non studiati per la funzione a cui devono assolvere; salotti con dislivelli; soglie da 2,5 cm nelle porte finestre e porte d’ingresso; pavimentazioni esterne non complanari; pulsanti luce di piccole dimensioni ed in posizioni poco “comode”, sono solo alcuni degli esempi. Comunque il tutto nella perfetta rispondenza della normativa.La norma, infatti, ci consente di realizzare degli spazi “universalmente” accessibili che in realtà non lo sono. Un esempio per tutti: la soglia, secondo norma, non può superare i 2,5 cm, ma questa altezza per una persona in carrozzina, con una stampella o con un passeggino o per chi, per età, trascina un po’ il passo, è una vera e propria barriera. Basta che misure e indici tecnici di mc su mq siano soddisfatti, con criteri di 40anni fa, che tutto risulta in regola.Ho tenuto delle conferenze dove dimostravo che una casa o un percorso pedonale, progettato nel pieno rispetto della legge 13/89 (1989!!!), poteva essere completamente inaccessibile.Quindi parlando di progettazione universale, ci troviamo di fronte a normative obsolete che non rispondono assolutamente ai canoni “universali”.
Le linee guida imprescindibili sono l’esperienza e, visto gli esempi sopra citati, soprattutto il BUON SENSO.
Rispondo con la stessa domanda che mi ponevo prima: “ma l’architettura ed il design, non dovrebbero essere per definizione universali? Non dovrebbero venire incontro alla stragrande maggioranza degli utenti?” Lo citava Eams a metà del secolo scorso eppure per arrivarci abbiamo dovuto aspettare l’arrivo della parola “universal!”. Per cercare di fare la differenza, basta rispettare i concetti che ci sono stati tramandati, in linea di massima gli stessi che ci vengono elencati nelle “nuove linee guida” di Universal Design.
Il design non è arte e non è solo estetica. Uno spremi agrumi bello, ma non funzionale, viene messo su una mensola per essere osservato. Il design deve essere funzionale, ovvero pratico, usabile, intuitivo, esteticamente gradevole e flessibile, tale da essere capace di soddisfare le esigenze della maggior parte degli utenti, chiamiamola della “diversità umana”. Quest’ultimo non è un concetto nuovo, non è stato introdotto con la parola “universal”. I nuovi concetti che si sono affiancati al design, sono relativi alla tecnologia digitale e all’impatto ambientale del prodotto. Gli odierni digital designer (UX designer, UI designer…), sono figure nuove che si occupano di pagine web, applicazioni, interfacce e digital marketing. In questo caso i parametri presi in considerazione, non sono più quelli antropologici, ma quelli relativi a età, background culturale o sociologico, area geografica, livello di competenza tecnologica, lingua…Anche per loro devono valere gli stessi criteri e concetti di sempre: praticità, usabilità, intuitività, flessibilità ed estetica. In tutto questo la parola “universal”, non fa altro che sminuire il lavoro fatto dai quei progettisti che, fino ad oggi, si sono sempre ispirati ai concetti base, quelli per cui l’introduzione di questa parola non ha fatto alcuna differenza.