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23/03/2022 - Tieffe
“É la più grande ricchezza di questa attività, conoscere degli atleti che lo sono non solo a livello sportivo e agonistico, ma soprattutto a livello umano, perché come diceva Pierre de Coubertin “Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla”.
Ho iniziato a giocare a Pallacanestro quando avevo 6 anni e ho giocato fino a 18. Durante quel periodo mi è capitato di arbitrare qualche incontro e ho compreso che lo preferivo. Così ho abbandonato il ruolo di giocatore e sono passato all’arbitraggio. Io abito a Macerata e vicino a noi, nello specifico a Porto Potenza Picena, c’è il Centro riabilitativo S. Stefano, uno dei più grandi e qualificati d’Italia. Molto spesso sono proprio loro, in fase di riabilitazione, ad avvicinare i degenti a degli sport. Il Basket è uno di questi. Così mi sono ritrovato ad assistere a questi incontri e mi sono appassionato. Allora ho iniziato ad arbitrare qualche incontro. Nel 2008 ho sostenuto il corso, nel 2010 sono passato alla serie A e poi nel 2012 ho fatto l’esame per arbitro internazionale. Da quel momento è stata un’emozione dopo l’altra, tra cui due Paralimpiadi, Rio e Tokyo. Mi piacerebbe fosse il mio lavoro, ma purtroppo non ci sono le condizioni. Dico questo non solo per la grande passione con cui svolgo questo incarico, ma anche perché oggi per poter arbitrare tolgo tempo alla famiglia, alle vacanze e non è semplice.
Innanzi tutto, partiamo dalle origini del Basket in carrozzina: nel 1946, molti giocatori americani professionisti tornarono dalla Seconda guerra mondiale infermi, ma avevano grande desiderio di continuare a giocare. La Pallacanestro in carrozzina è uno degli sport adattati più fedelmente alla sua controparte in piedi: le dimensioni del campo sono le stesse, il canestro e la sua altezza sono uguali, così come la posizione della linea dei tre punti e la palla. Pure la durata delle partite è identica. Ovviamente ci sono degli adattamenti che tengono conto dei movimenti fatti con la carrozzina: anche queste ultime sono diverse, più leggere e maneggevoli, più veloci. Quello che rende il Basket in carrozzina diverso dalla versione in piedi sono gli atleti che non solo hanno un livello tecnico molto alto, ma sono un esempio di impegno e di rivincita sulle difficoltà della vita. C’è tanto in loro e lo trasmettono, non solo sul campo.
Assolutamente sì: per tutti loro, comunque, lo sport è una ragione di vita e di riscatto sulla vita.
Siamo solo in tre e, per il momento, sono l’unico ad aver arbitrato fuori dall’Europa. Ho avuto la fortuna di poter prendere parte anche a due Paraolimpiadi. A Rio è stata un’esperienza bellissima, anche perché avevamo il pubblico presente, ma a Tokyo ho arbitrato la finale per il terzo posto (a Rio solo i gironi eliminatori) tra Spagna e Inghilterra, che ha visto sul podio questi ultimi. L’unico neo è che non c’erano spettatori e questo ha influito un po’ sull’atmosfera delle partite.
Purtroppo no, ma ci siamo qualificati per i mondiali di Dubai che si terranno a novembre di quest’anno.
Nel nostro paese il Porto Potenza Picena ed il Cantù. In Europa la Spagna, la Germania e l’Inghilterra. Nel mondo gli Stati Uniti, che quest’anno sono state medaglia d’oro alle Paraolimpiadi. L’Italia ha un grande passato in questa disciplina e, sono sicuro, lo avrà anche in futuro.
Sì. Nei club si gioca misti, in nazionale separati. La Pallacanestro in carrozzina è uno sport molto equo, basti pensare al punteggio che viene assegnato agli atleti che va da 1 a 4,5, in base alla disabilità (maggiore è la disabilità, minore il punteggio). In campo, questo punteggio non può mai superare i 14,5 punti. L’obiettivo di questo sistema è che in questo modo non ci siano squadre sbilanciate rispetto ad altre, perché ha giocatori con meno mobilità.
Sicuramente le barriere architettoniche nei palazzetti, negli hotel, nei pubblici esercizi, ma anche sui mezzi di trasporto. Nessuna struttura ricettiva, ad esempio, è come viene descritta, sino in fondo. E questo avviene tutto il mondo. Questa mancanza di empatia e sensibilità è incomprensibile nel 2022.
Sicuramente quello con Ahmed Raourahi, classe 1980, italiano, marocchino di nascita. Quando aveva dieci anni, aiutando il papà commerciante in Marocco, era su un treno affollatissimo quando un ladro tentò di rubargli la borsa nella quale teneva la merce. Lui non la lasciò andare, perse l’equilibrio e finì sotto il treno, perdendo le gambe e parte del braccio destro. Oggi è tra i giocatori più forti al mondo.
Quando ho arbitrato a Tokyo il giocatore più forte al mondo, il canadese Patrick Anderson: giudicare il suo gioco è stato il canestro più bello della mia carriera. A tal proposito, tengo a ringraziare la FIPIC - Federazione Italiana Pallacanestro in Carrozzina ed in particolare il Presidente Fernando Zappile: senza di loro non avrei potuto diventare un arbitro di questo livello e vivere tutte queste belle esperienze.
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