Nadia Lauricella, l’Ironwoman siciliana" />
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20/03/2023 - Tieffe
“Dovete sapere che esiste una teoria, che non è nostra, ma che abbiamo fatto nostra, in base alla quale le persone con disabilità si dividono fra rancorosi e solari. I primi sono quelli arrabbiati col mondo per quello che gli è successo, i secondi sono quelli che hanno deciso di viverla come una nuova opportunità.”
Mi sono appassionata al mondo del motocross vedendo i video di Vanni Oddera, ex campione mondiale di freestyle e ideatore della mototerapia. Appena ho scoperto che c’era un modo, per me, per poter praticare il motocross l’ho fatto e mi sono sentita, per la prima volta, libera, come se avessi annullato ogni disabilità.Andare in motocicletta è adrenalina e gioia allo stato puro che nel caso dell’autismo diventa una terapia a tutti gli effetti, perché consente di scaricare la tensione. Una volta appurato quanto fosse fonte di benessere per me, mi sono impegnata perché altri ragazzi con disabilità potessero provare queste emozioni e questa energia e così ho fondato l’Associazione MotorLife, di cui sono vicepresidente (presidente è Rosario Farruggia, ndr), grazie alla quale riusciamo a far praticare questo sporta diversi ragazzi disabili nel Sud Italia.
È stata la fonte della mia rinascita. Fino a 24 anni mi sono sentita dire che tante cose, a causa della mia disabilità, non potevo farle. Quindi quando ho iniziato a praticare sport, per me è stata una rivincita nei confronti di tutti quei no che avevo ricevuto sino ad allora. Dal punto di vista fisico e psicologico mi consente di staccare da tutto: siamo solo io ed il personal trainer, in un percorso che porta a uno stato di vigore e salute. Mi piacerebbe che questo messaggio fosse compreso da tutte le palestre italiane, ossia che molti disabili hanno bisogno di sport. E non necessitiamo, almeno la maggior parte di noi, di particolari attrezzature, ma solo di una persona ci segua e ci faccia fare gli esercizi giusti.
Provengo da un piccolo paese della Sicilia, dove sono cresciuta in mezzo a mille pregiudizi. Le persone vedevano solo il mio aspetto fisico e lì si fermavano. In pochi cercavano di capire chi fosse davvero Nadia. Quando ho messo le protesi ho scelto di raccontare la mia esperienza ed il periodo della riabilitazione per contribuire a far comprendere ad altri ragazzi con disabilità non solo come affrontare certe sfide in maniera propositiva, ma anche come liberarsi delle etichette che la gente, inevitabilmente, ti affibbia. Dietro ogni persona c’è un essere umano, con la sua forza, le sue fragilità, i suoi gusti: una persona che merita di essere conosciuta. Questo voglio dire con i miei messaggi, dare un punto di vista diverso sulla disabilità e infondere, a modo mio, un po’ di forza a chi vive i miei stessi problemi. Da qui il mio nickname IronNadia. Tengo a dire che non mi sento un supereroe, ma sono felice che, grazie anche ai social, le persone abbiano iniziato a vedere la vera me, che siano andate oltre la disabilità e spero riescano a farlo con tutte le persone disabili che incontreranno.
Si intitola “Alza il volume”, è stato ideato da Angelo Jay Pecoraro. Per me è stato emozionante veder raccontata la mia storia, perché non ti accorgi di quello che fai, dei traguardi che raggiungi, finché non sono gli altri a mostrarteli. Ci tengo a dire oggi non sarei quella che sono senza le persone che mi hanno accompagnata in questo cammino: la mia famiglia ed i miei amici più cari. Ognuno di loro mi ha aiutato ad essere la Nadia di oggi, ed ha segnato questo mio percorso di rinascita e consapevolezza. A loro va il mio incondizionato grazie!
Camminare a 24 anni. Ero un’adulta e reimpostare la mia mente e il mio corpo a compiere quei movimenti è stato davvero difficile. Mi sono sentita come Dumbo: avevo bisogno di una piuma magica per camminare, che per me era il sostegno di qualcuno. Ma quando mi sono accorta che il sostegno non serviva più allora anche io ho iniziato a volare…
Nel mio caso, purtroppo, non è stato così. Mi spiego: a volte sarebbe stata meglio l’indifferenza, rispetto a quello che ho dovuto subire, al sentirmi sempre diversa, emarginata. Devo dire grazie alla scuola, un ambiente che mi ha sostenuta e incoraggiata, ma non alla comunità che è stata solo capace di dirmi tanti no e di mostrarmi unicamente i miei limiti, convincendomi che fosse impossibile superarli.
Credo che ognuno debba avere un ruolo attivo nella propria realtà: solo così si possono avvicinare le istituzioni alle necessità reali dei cittadini, specialmente in tema di disabilità. Per un disabile a volte un gradino è un problema, una strada con delle buche, la carenza di semafori con segnalazioni acustiche… Quindi è dovere di ogni cittadino impegnarsi affinché si arrivi ad una società davvero inclusiva, dove le necessità di tutti vengano prese in considerazione da parte di chi si occupa di urbanistica, architettura e politiche sociali.
Purtroppo, gli ambienti bagno sono quelli dove ancora permangono le barriere più difficili da abbattere come lavandini eccessivamente alti, specchi posizionati in modo che ci si può specchiare solo in posizione eretta, erogatori di sapone ed aria calda lontani dai rubinetti, docce che non consentono di entrare in carrozzina. Per non parlare di gradini, posizionati ovunque. Nell’architettura d’interni di strutture ricettive, ambienti ad alto traffico di persone, come le stazioni, i bar e i ristoranti l’allestimento degli ambienti bagno andrebbe totalmente rivisto. Allo stato attuale a volte risultano poco sicuri e fruibili anche a persone normo-dotate, figuriamoci per chi ha una disabilità.
Fortunatamente viaggio sempre accompagnata, altrimenti non so se “sopravviverei” a buche, strade sconnesse e infinità di scale. Spesso mi muovo in carrozzina e la mobilità, in questo caso non migliora, anzi a volte peggiora.Finché non ci sarà una vera rivoluzione della concezione della manutenzione delle strade e dei marciapiedi e di riorganizzazione degli spazi interni per un disabile sarà sempre complesso viaggiare.
Imparare a chiedere aiuto: questo è il segreto. Senza sentirsi a disagio, perché per le persone che si hanno accanto è naturale essere d’aiuto e sono contente di poterlo fare. Soprattutto non vergognarsi della propria disabilità perché non è una colpa… Se queste due condizioni risultano estremamente difficili da raggiungere consiglio, soprattutto ai giovani, di cercare un’assistenza psicologica: è essenziale prendere coscienza di sé stessi e dei propri limiti prima possibile, in modo da accettarsi e comprendere come lavorare al superamento di alcuni freni che spesso sono più mentali che fisici. Infine, ricordarsi che, come ha detto Khalil Gibran, “Non si può raggiungere l'alba senza passare dai sentieri della notte”.
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