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11/04/2025 - Edoardo Carloni
Prima di tutto concedetemi un ringraziamento per essere in questo spazio d'informazione ed avermi concesso la possibilità di quattro chiacchiere su temi importanti che fanno parte del mio quotidiano. Tornando alla domanda, la passione e la scelta del Design come percorso principale nella mia vita nascono in realtà da un unico punto: la curiosità. Non è quindi un quando ma piuttosto un perché, in quanto l'essere curioso è qualcosa che mi ha contraddistinto fin da piccolo. La necessità di sapere, di capire, di toccare, non mi ha mai lasciato, anzi è potuta solo crescere: per ogni porta che si apre si scoprono decine e decine di nuove strade da percorrere e conoscere. É il mio mantra che cerco continuamente di trasmettere anche ai miei studenti universitari, “Se non avete fame di curiosità, cambiate studi perché questo non potrà mai essere il vostro mestiere”. Un po' forte ma serve per intenderci subito. Il perché iperbolico è quell'unica domanda che mi permette di creare con ragione, di proporre soluzioni con adeguatezza, non casuali. La ricerca delle risposte è ciò che mi ha reso un progettista, nel tentativo continuo di dare soluzione alle necessità attraverso creatività, gusto, tecnica e buon senso. Perdonate lo sproloquio ma, come un fiume in piena, anche dopo trent'anni di carriera, esce sempre dirompente perché alimentato da una forte passione che non si quieta.
“Da Klub”, come amavamo chiamarlo in stile hawaiano, è stato un progetto nato fra professionisti di diverse estrazioni, di base tutti amici, con lo scopo di portare le nostre capacità, e curiosità, in tanti settori spesso lontani dal proprio. É stata una bella esperienza che mi ha lasciato tanto. Come prima di quel periodo, e come è sempre stato a seguire, ho sempre creduto nelle interazioni di ogni genere, fra persone che condividono uno scopo comune. É forse questo il punto nodale attorno a cui capire come far funzionare la cooperazione, un interesse comune che renda oggettivo lo scopo, in cui ognuno possa sentirsi coinvolto e al contempo rispettato e valorizzato. Tutto questo può suonare forse un po' utopico ma come creativo non posso non credere in una visione che potrebbe cambiare modi di essere odierni, fin troppo tossici.
Riagganciandomi al pensiero iniziale di quest'intervista, se la curiosità è il motore primo in un mestiere creativo, la benzina viene dalla rottura della superficialità, ahimè imperante. È il mio dictat verso gli studenti che, come futuri progettisti, hanno il dovere di rompere questo velo che ci obbliga a non vedere, a non capire. Scendere in profondità, comprendere le radici di un problema, è l'unico modo per proporre soluzioni atte a risolvere e durare nel tempo. Una frase che amo ripetere, per comprendere l'importanza di un ragionamento, è che “il mondo non ha bisogno di oggetti, perché il mondo è pieno di oggetti, bensì ha bisogno di idee finalizzate a risolvere necessità”. Cerco di ricordare loro che la nostra creatività, in quanto designer, è asservita ad una necessità sociale, non è fine a se stessa o ancor peggio autocelebrativa.
Argomenti enormi e terreno pericoloso su cui esprimersi, perché dietro principi corretti, oggi spesso si nasconde tanta demagogia e facile populismo. Provo comunque a chiarire un mio personale pensiero che racconti il mio agire. Premesso il mio timore per le definizioni che spesso rischiano essere più slogan che sostanza, mi pongo però il problema che l'esigenza di tali concetti (inclusività, universale, intergenerazionale, etc.) nasce, indubbiamente, da esigenze percepite e sentite. Il mio approccio a questo punto parte dalla fine, tentando di ipotizzare soluzioni, mantenendomi però molto ricettivo nel mentre, in quanto il risolvere può creare problemi collaterali, oppure intercettarne di nuovi che possono essere inclusi nel pacchetto progettuale, aumentando le potenzialità della soluzione ipotizzata. Provo a spiegarmi meglio attraverso un esempio. Oggi in Italia si parla molto della popolazione che invecchia. E' un dato di fatto, come lo sono anche le esigenze diverse o più particolari che una persona anziana può avere, nell'usufruire di uno spazio abitativo privato o pubblico. Se dovessi pensare in termini puramente inclusivi o universali, dovrei tentare di creare soluzioni onnicomprensive, rendendomi però conto velocemente non tutto è integrabile, perché spesso incompatibile, oppure può generare soluzioni complesse, farraginose e non idonee alle esigenze economiche di mercato o a quelle produttive. Quindi inizio a progettare per affinità, parto dalla necessità di un gruppo di utenti, provo ad allargare la platea di fruitori che potrebbero avere esigenze similari potenziando il concept progettuale e tento di coinvolgere anche gruppi sociali prossimi a quelli di partenza che, pur avendo necessità diverse, potrebbero accettare compromessi. L'idea, in breve, è partire dalla fine per capire l'applicabilità di un concept, allargando a ritroso la platea di utenti, piuttosto che seguire delle linee guida a priori. Spesso, in questo modo, ho scoperto che un progetto che parte dal particolare è in grado, a ritroso, di rivolgersi ad una fascia di mercato molto più ampia e variegata.
Il Design for All che parte da un concetto di affinità, senza forzature aprioristiche di sorta, è applicabile ovunque, ed il bagno non fa eccezione, anzi forse è uno di quei luoghi dove è maggiormente facile accomunare esigenze, senza distinzioni di sorta, in quanto sicurezza, comfort, praticità e semplicità sono esigenze comuni a tutti, anche quando non prioritarie. Legando il tutto attraverso stile, materiali e innovazione, si possono creare prodotti che parlino un linguaggio universale.
Nel nostro Paese lo spazio sociale e privato della terza età è molto cambiato, non trovando però risposte e soluzioni ai nuovi stili di vita generati dalla modernità. Nel passato la persona anziana era un riferimento in quanto sinonimo di esperienza, origini e saggezza, era attorniata quasi sempre da attenzioni parentali o di buon vicinato. Diciamo che la persona non più attiva nella società, rimaneva comunque integrata e non sola, quindi grosse problematiche irrisolte non sussistevano. Oggigiorno viviamo vite, spazi e ambienti che ci portano alla lontananza sia fisica e ancor più mentale. Tutto questo crea esigenze, problemi, vuoti funzionali che rimangono per lo più irrisolti, in quanto siamo impreparati e anche disattenti. In altri paesi lo stato sociale e quello politico sono un collante importante, o in altri l'indipendenza personale è ben costruita e supportata dal mercato e dai servizi. In Italia è un problema nuovo, dove lo Stato non riesce a costruire risposte ed il mercato dei beni e dei servizi si interessa marginalmente a fornire soluzioni articolate, complementari e scalate anche in termini economici, facendo forse un grosso errore, e cioè quello di considerare questa fascia sociale come un insieme di piccole nicchie di mercato, quando invece è ormai evidente che ci troviamo davanti ad un gruppo sociale molto esteso, sia per ceto, che per cultura ed esigenze, con una densità demografica alta sia in verticale che orizzontale che non può più essere trascurata, bensì va compresa e approfondita, in tutte le sue sfaccettature. A stretto giro la res publica e produttori di beni dovranno fornire risposte esaustive per soddisfare il welfare di questo ampio settore sociale, che è anche un referente importante in termini di mercato.
Il mio approccio progettuale tenta sempre di sviluppare prodotti all'interno di una compatibilità ambientale che sia a monte o a valle del processo produttivo. Non è sempre però fattibile o facile da perseguire tale pensiero, anche perché molte volte la sensibilità a tali problematiche non ha ricaschi immediatamente riconoscibili o tangibili, e questo è un limite spesso legato a chi non crea realmente i presupposti per una green economy che dia vantaggi, anche nel breve termine. Di frequente inoltre la politica arriva con grandi ritardi su queste tematiche nella parte attuativa, generando soluzioni già obsolete, vanificando così anche buoni propositi. Faccio un esempio dei tanti che si potrebbero fare. Parliamo continuamente di economia circolare, di riciclo dei materiali con riferimento prevalente al problema delle plastiche. Corretto, assolutamente necessario, ma oramai da diversi anni, è chiaro alla scienza che la nostra capacità di riciclo di materiali plastici è nettamente inferiore alla produzione di beni di massa. Oggi infatti è necessario parlare di materiali compostabili, solubili, che non necessitino di riciclo e riuso. Lo sforzo della comunicazione, della valorizzazione dei processi virtuosi, del supportare questo cambiamento epocale di pensiero e di modo di produrre, di scegliere e usare, dovrebbe essere anticipato nelle azioni e posto come scopo prioritario nello sviluppo della società di domani.
- Edoardo Carloni
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