Interior

01/09/2022 - Tieffe

Ricomporre i frammenti del vivere per dare nuova vita alla ricettività

Over ha incontrato l’architetto Sara Righetto dello Studio Fragment Hospitality

In a light wave, foto fabio bascetta

Foto cortesia di Fabio Bascetta

Cinque professionisti hanno scelto di mettersi in gioco per ricomporre i frammenti del vivere contemporaneo in nuove visioni architettoniche. Tra questi Sara Righetto , cresciuta con una formazione in ambito di restauro architettonico e di ristrutturazione residenziale, oggi, con i suoi colleghi dello studio Fragment Hospitality, ha scelto come campo d’azione principale i luoghi per abitare e lavorare, perché come lei stessa sottolinea:

“Nello spazio nascono relazioni stimolanti tra arredi e persone che mi piace ascoltare e analizzare per suscitare emozioni”.

Grande emozione sicuramente la provoca il Demo Hotel di Rimini, un progetto di recupero di una vecchia pensione in disuso, che ha coinvolto quattordici studi di architettura, tra cui Fragment Hospitality.

“Troppo spesso – spiega Sara Righetto – le strutture ricettive si definiscono accessibili perché dotate di un bagno senza barriere e una carrozzina per la spiaggia. In realtà, per creare accessibilità, serve molto di più: occorre dedicare grande attenzione ai particolari, conoscere le esigenze del cliente, sviluppare proposte e servizi, mi passi il termine, lungimiranti. La “Suite in a light wave”, che abbiamo realizzato all’Hotel Demo, ad esempio, è stata progettata per riuscire a trasferire intense emozioni ad ogni cliente, creando esperienze di soggiorno totalmente accessibili, attraverso uno spazio flessibile, “for all”, dove l’ospite diviene protagonista attivo. Una ricettività, insomma, che fin dal momento della prenotazione, garantisca benessere, design e inclusività”.

Architetto, a suo parere, quanto la progettazione del comparto ricettivo del nostro Paese si sta avviando verso un’inclusività a tutto tondo, che non si differenzia più a seconda delle abilità degli ospiti?

Siamo ancora molto lontani. I progetti sono di grande qualità, ma si attengono scrupolosamente alla normativa. Il problema sta nella sensibilità dei clienti. Ci sono bagni inclusivi, con ausili che svolgono la loro funzione, ma sembrano presidi ospedalieri. Si fa ancora molta confusione e si considerano i bagni per persone con difficoltà di movimento spazi sanitari, che non tengono conto del resto dell’arredo, del colore e del design. È proprio lì che il progettista si deve mettere in gioco per non creare ambienti per disabili, ma ambienti inclusivi, dove inclusività è bellezza, è armonia di forme e di colori è coordinazione. Una riorganizzazione completa degli spazi che non si può esaurire solo e semplicemente con l’istallazione di un lavabo ergonomico, di ausili, di sanitari più alti e di una doccia a filo pavimento…

Accessibilità nel terzo millennio è un concetto in equilibrio tra estetica, comfort e sicurezza. Come far convivere questi tre aspetti in un progetto?

Il ruolo del progettista sta proprio nel mettere insieme questi tre aspetti, fonderli, non trascurando l’uno o l’altro. Essere un progettista significa, dopo essersi confrontati con il committente, studiare ogni dettaglio per rispettare esigenze e preferenze dei clienti, senza rinunciare a sicurezza, design e funzionalità.

Uno degli ambienti in cui l’abbattimento delle barriere è essenziale è il bagno. Come si può comporre e cosa non può mancare in un bagno di un hotel inclusivo?

Sicuramente non possono mancare gli ausili, indispensabili, i quali devono essere inseriti in un contesto che punti ad un insieme attento e sensibile. Il disabile non deve sentirsi in uno spazio pensato per lui, ma in uno spazio inclusivo. Grazie alla collaborazione con Roberto Vitali abbiamo iniziato a pensare ad una progettazione innovativa che fosse un tutto per tutti, senza distinzioni. Ed è diventato interessante lavorare così, quasi una sfida, perché è il progettista che deve fare un passo in più. Un salto a pensarci bene! E gli albergatori devono rendersi conto che un hotel inclusivo è una fonte di ricchezza, perché le sue camere sono sempre pronte ad ospitare chiunque. Una ricettività a misura di cliente è sicuramente il miglior biglietto da visita possibile.

Ci racconta come è nata l’idea della Suite “In a light wave”?

Il progetto nasce da un’idea di Mauro Santinato, presidente di Teamwork Hospitality , un hub di sperimentazione per l’ospitalità che, partendo dal recupero di una vecchia pensione in disuso a Rimini, ha coinvolto quattordici studi di architettura, ognuno con la propria ispirazione e la propria idea di accoglienza, oltre a cento aziende fornitrici. Questo progetto si pone come obiettivo “risvegliare il senso della meraviglia e creare un’esperienza memorabile”. Il nostro studio, Fragment Hospitality, ha partecipato volendo scegliere la stanza accessibile. Abbiamo ideato il progetto con il supporto di Roberto Vitali. Quello che volevamo era affermare l’idea di leggerezza, di colore, di benessere e quale elemento meglio dell’acqua poteva suscitare queste emozioni? L’acqua prende forma intorno al corpo e, sin dal primo contatto, consente alla mente di liberarsi e al corpo di provare benessere. Volevamo che le persone che soggiornavano nella suite vivessero un’esperienza di relax accessibile, dove l’ospite è protagonista attivo della vacanza, qualsiasi sia la sua abilità, stimolando e coinvolgendo i cinque sensi. La nostra ricerca di bellezza e design, in un’ospitalità totalmente accessibile, si è sviluppata su 45 metri quadrati, in cui sono state ricreate situazioni marine. una superficie composta da una zona living, una camera matrimoniale, un bagno, un’area wellness ed un balcone. Il volume del bagno è rivestito da un materiale che sembra legno, come quello che si trova in spiaggia, modellato dalle onde, e dispone di un lavabo a differente altezza, per garantire facilità di utilizzo sia ai disabili che ai bambini. Ma l’insieme non è solo “for all”, è un connubio di emozioni visive, tattili e sonore, in grado di distogliere l’ospite dalla sua quotidianità. L’area wellness, infine, si ispira all’interno di una conchiglia e la sauna è realizzata con il legno dell’albero dei tulipani, che rilascia un profumo molto particolare. In tutta la suite abbiamo modellato la luce, pensata e calibrata per generare benessere e rilassamento. Il tutto unito a forme sinuose e prive di spigoli, per garantire sicurezza.

Il vostro team ama mettersi in gioco con committenze che derivano dalle più svariate esigenze, cercando di sviluppare progetti con un approccio personalizzato per ogni singolo cliente. Come questo concetto può trovare applicazione in un ambito pubblico?

Ci occupiamo di vari tipi di progetti, con la volontà di “ricomporre i frammenti del vivere contemporaneo in nuove armoniose visioni architettoniche”. Siamo cinque professionisti con decennale esperienza nella realizzazione di interni, in ambito residenziale, terziario ed alberghiero. Quello che ci stiamo proponendo è un metodo progettuale che consenta di segnare il passo in questo cammino verso la realizzazione di ambienti per qualsiasi tipo di utenza, mettendo al centro del progetto le più svariate esigenze, con un approccio personalizzato per ogni singolo progetto.

L’accessibilità non è una esigenza solo per chi ha disabilità motorie, ma per chi ha disabilità sensoriali (vista e udito), problemi di mobilità legati all’età, allergie alimentari. Come si può tener conto di tutto questo per creare luoghi in grado di soddisfare qualsiasi esigenza?

Occorre cambiare la visione progettuale, considerando che si sta operando per un target universale. Faccio un esempio: perché scrivere un menù con caratteri molto piccoli, creando difficoltà non solo a persone ipovedenti, ma anche un quarantenne?

Inclusività che non può prescindere dalla scelta del materiale. Concorda?

Assolutamente! Se si vuole essere attenti realizzatori di spazi a misura di fruitore. Faccio un altro esempio. Abbiamo realizzato uno specchio che si può girare, per persone affette da autismo, le quali non amano le superfici riflettenti. A volte, come potete vedere, basta veramente poco. È sufficiente ampliare lo sguardo, tentando di abbracciare differenze, particolarità, unicità, perché ognuno di noi è unico, nelle percezioni, nelle preferenze e nelle scelte.

A quali nuovi progetti state lavorando attualmente?

Molteplici progetti che riguardano sia strutture alberghiere, sedi aziendali, complessi residenziali, e università…Questo perché abbiamo, da tempo, compreso che solo spaziando il più possibile potremmo entrare davvero in contatto con le varie umanità e percepirne bisogni e desiderata.

Come crede che cambierà il suo lavoro nel prossimo futuro?

Viviamo in un periodo di grande incertezza. Ma questo non sminuisce un forte ottimismo che percepisco pensando alla mia professione. Ritengo che essere architetto, nel terzo millennio, significhi prendersi cura dell’utente finale, avendo un approccio sartoriale al progetto, in modo da “cucire” lo spazio e ciò che contiene intorno alle persone, alle loro esigenze, alle loro diversità.

Una parola che, secondo lei, descrive l’inclusività del terzo millennio...

Uguaglianza. Tenendo conto, come diceva Abramo Lincoln, che “Tutti gli uomini nascono uguali, ma è l’ultima volta in cui lo sono”.

In a light wave, foto flavio ricci

Foto cortesia di Flavio Ricci


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